LA PARTITELLA

di GIUSEPPE MANFRIDI

 

con (interpreti e personaggi)

VITO DI BELLA Alex

BRUNO GAMBAROTTA Bruno Gambarotta

FEDERICO MARRAS Carlo

ANDREA GIULIANO Enrico

ANDREA DE MANINCOR Er Verona – Giussani

CHIARA TANGO Flavia

BENIAMINO ONORATO Furio

CARLA FERRARO Gianna

PAOLA CAMPOSARCONE La Ruvida

CLAUDIO PALLOTTINI Macioci

GALA ZOPPI Mara

ALESSANDRO TIBERI Massimiliano

PAOLA MACCARIO Melania

CLOTILDE CLOVER Nadia

GABRIELE LINARI Osvaldo

USA TORRI Pia

BED CERCHIAI Rashid

MADDALENA RECINO Rita

FULVIA LORENZETTI Sissi

ANDREA PIROLLI Stefano

 

regia

PIERO MACCARINELLI

 

in collaborazione con la RAI di Torino – RAIDUE PALCOSCENICO

messa in onda il 10/05/1997  per Rai Palcoscenico

Uno sterrato ai piedi di una scarpata su cui passa un cavalcavia. Sul terriccio grumoso, che affaccia verso il campo, situato oltre i pilastri, solo due cubi di cemento abbandonati dagli operai che servirà da panchina di osservazione per le ragazze. In questa zona franca di questa terra di nessuno sin dalle prime ore dell’alba, affluiscono vari ragazzi e ragazze che, disertando la scuola, si sono dati lì appuntamento per una partitella di cui gli uni saranno protagonisti e le altre spettatrici. La situazione, solo marginalmente legata all’evento calcistico, è tale da consentire un intreccio di racconti. Piccoli grandi amori…ansie di crescita, sogni di trionfi futuri…progetti matrimoniali…e quant’altro ancora può immaginarsi come alimento fantastico di quell’ineffabile età di passaggio che è possibile individuare nel valico tra l’ultimo anno di scuola ed il primo di università o di lavoro. Il secondo atto della commedia racconta un’altra partitella giocata in quello stesso campo e dagli stessi ragazzi ma un anno prima della precedente. In questo montaggio “a ritroso” sarà dato di ricomporre i disegni imperscrutabili del destino che, si scoprirà, ha giocato, come spesso avviene, con le vite di quei ragazzi decidendone a suo compiacimento ed in ossequio ad un’apparente casualità di cui non ha senso, qui, anticipare nulla. Un ruolo importante in questa commedia è svolto dal linguaggio. I ragazzi si esprimono, infatti, con una parlata evidentemente romanesca ma sarebbe un errore interpretare la loro lingua come un puro e semplice dialetto. Si tratta, piuttosto, di una “zona franca” all’interno della quale consentire trasversalmente, l’incontro dei più diversi strati sociali e delle più distanti fisionomie culturali. In quel bizzarro assemblaggio umano, che costituisce infatti il microcosmo che può riunirsi in circostanze simili, non è infrequente ritrovare gomito a gomito il laureato con I’analfabeta, il quindicenne con il trentenne. Promiscuità riverberata, peraltro, nelle arlecchinesche tenute da gioco che è pura illusione sperare possano mai armonizzarsi in una concordata uniformità. Forse erano anche questi i motivi per cui Pasolini, ottimo calciatore, trovava nell’idea stessa della “Partitella”, di cui era appassionato sostenitore e frequente protagonista, tratti di struggente, infantile e malinconica poesia.

 

Note di regia

11 ragazzi e 9 ragazze, 20 persone che ancora non sono entrate nel ciclo produttivo, che ancora non sono diventate adulte si incontrano come altre volte, un anno prima ed un anno dopo, in uno sterrato sotto un cavalcavia che affaccia su un improbabile campetto di calcio. I ragazzi, 11 in scena, non riescono quasi mai ad essere 11 anche in campo. L’azione si svolge in due tempi: un anno dopo ed un anno prima. Il presente non è dato. Il linguaggio è una sorta di minino comune denominatore del romanesco. Siamo a Roma ma non tutti i ragazzi e le ragazze sono romani. Le ragazze, a parte il nucleo centrale di 6 inossidabili ed indivisibili amiche, non sono tutte le stesse di un anno prima. Un anno dopo ci sono tre nuove storie d’amore. Un anno prima due amori si stanno per incrinare. C’è chi è spaiato un anno prima e continua ad essere spaiato un anno dopo. Uno, un anno dopo è morto, tirato sotto da una macchina, sulle strisce pedonali. Un anno prima faceva caldo Un anno dopo fa freddo Un anno prima il campetto di calcio sembrava un pozzo per le anatre; lo è anche un anno dopo, ma il caldo l’ha un po’ asciugato. Un anno prima le ragazze ascoltavano Zucchero, un anno dopo Jovanotti. Un anno prima qualcuno di loro sperava in un grande avvenire. Un anno dopo il grande avvenire è dietro le spalle. Il teatro è, o perlomeno è per me, comunicazione e il mio compito è quello di rendere più comunicante possibile la lingua di Giuseppe Manfridi, lingua di gruppo, stratificata, altra, impastata di regole sintattiche rimasticate in una quotidiana codificazione atta a comunicare appunto fra un membro del gruppo ed un altro. Gruppo in questo caso scelto per elezione e disperazione, nella illusoria speranza di resistere così ai colpi del mondo, a quello spazio temporale, fra un anno prima e un anno dopo, che dovrà spingere il gruppo ad affrontare un domani di fronte al quale anche gli adulti più attrezzati si trovano spiazzati e impreparati. E ancora quel che più conta nei due spazi temporali sembrano essere le assenze, i casi: assenze di spazi (il campetto di calcio) o di persone (Pascucci). Ho nominato volutamente l’unico assente Pascucci che proprio per un caso ed in uno spazio assente (il campetto) troverà una sua possibile via di uscita per il futuro.

Piero Maccarinelli

 

Note dell’autore

II romanesco de La partitella è il più anomalo dei dialetti, diciamo che è il meno dialetto dei dialetti. Una lingua senza storie, senza profondità, incapace di restituire antichi suoni, antiche memorie. È una lingua offerta a mille scorrerie, ovvero: anglismi dell’ultima ora, settentrionalismi, giovanilismi, storture da induzione ludica (anagrammi, sostituzioni di senso, ecc….). Una parlata, insomma, che è una sorta di esperanto urbano modificabile da un giorno all’altro, a seconda dell’avvento di nuovi miti e della svelta obsolescenza d’altri, e sagomato su un offuscato modello idiomatico che è appunto il romano più poroso e permeabile. Per certi versi anche il più percepibile da qualsiasi orecchio nostrano proprio in virtù di una sua larga diffusione su territorio nazionale dovuta sia al cinema che alla televisione, che hanno assunto questa sorta di “pastiche” linguistico a referente comune di grande trasversalità. Una lingua, dunque e soprattutto, non ferma; specchio di fasce generazionali incerte e ansiose di una propria definizione e di un proprio destino. Se la parola non fosse sin troppo allusiva di una nostra pena sociale, direi: di una propria collocazione.

Certo la lingua, anni addietro, mi ha permesso di formulare le frasi, i discorsi, le ideologie della mia adolescenza: è la lingua di quelle lontane ambizioni.

Giuseppe Manfridi

 

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